Piano e batteria. Come mai questa scelta?
Risponderebbe John Belushi: perché no! (Animal House)
Ricordo l’articolo di un quotidiano che presentava un nostro concerto di duo a Roma nel 2001 come Urciuolo Smith trio.
Questo articolo ritraeva il modo diffuso di percepire i fenomeni che ci circondano come formule, slogan, generi; un atteggiamento che si potrebbe definire a intellettualità limitata o anche pigra, come preciserebbe quasi cent’anni dopo Schoenberg, che individuava nelle comodità a lui contemporanee uno dei mali dell’uomo del suo tempo. L’esigenza di chi sceglie una musica senza paletti precostituiti, articolata dal rinnovamento delle parti nelle composizioni, ma soprattutto fatta dalle invenzioni momentanee dell’improvvisazione, è l’interpretazione. Quello che cerco quando suono, disegno, scrivo, è la possibilità di variare sulla struttura che scelgo di percorrere. Accrescere un ensemble, prescindendo dalla musica da interpretare, può significare distribuire parti ma compromettere la libertà di movimento, di danza, di melodia, assegnando a più voci ciò che può essere suonato dai due nostri soli strumenti.
La nostra intesa nasce dai primi anni Novanta, passa per molteplici dischi, concerti. Il duo può essere considerato il distillato naturale di una ricerca, di un viaggio, vissuto attraverso il filtro di due strumenti vicini, che consideriamo complementari, percussivi, melodici.
Wittgenstein diceva: la forma è la possibilità della struttura.
Risponderebbe John Belushi: perché no! (Animal House)
Ricordo l’articolo di un quotidiano che presentava un nostro concerto di duo a Roma nel 2001 come Urciuolo Smith trio.
Questo articolo ritraeva il modo diffuso di percepire i fenomeni che ci circondano come formule, slogan, generi; un atteggiamento che si potrebbe definire a intellettualità limitata o anche pigra, come preciserebbe quasi cent’anni dopo Schoenberg, che individuava nelle comodità a lui contemporanee uno dei mali dell’uomo del suo tempo. L’esigenza di chi sceglie una musica senza paletti precostituiti, articolata dal rinnovamento delle parti nelle composizioni, ma soprattutto fatta dalle invenzioni momentanee dell’improvvisazione, è l’interpretazione. Quello che cerco quando suono, disegno, scrivo, è la possibilità di variare sulla struttura che scelgo di percorrere. Accrescere un ensemble, prescindendo dalla musica da interpretare, può significare distribuire parti ma compromettere la libertà di movimento, di danza, di melodia, assegnando a più voci ciò che può essere suonato dai due nostri soli strumenti.
La nostra intesa nasce dai primi anni Novanta, passa per molteplici dischi, concerti. Il duo può essere considerato il distillato naturale di una ricerca, di un viaggio, vissuto attraverso il filtro di due strumenti vicini, che consideriamo complementari, percussivi, melodici.
Wittgenstein diceva: la forma è la possibilità della struttura.
La melodia è un aspetto centrale di questo lavoro. Quali sono i luoghi sonori di riferimento?
Come architetto, amo il concetto di luogo, di ancoraggio.
Ma mi piace pensare che il radicamento sia più concettuale che fisico. Ci ha sempre divertito individuare nelle energie contenute nella caldera del Vesuvio un potenziale creativo, di cui il popolo pedevulcanico è dotato. Per me è impossibile che chi nasce sotto un vulcano, in un golfo mediterraneo, possa essere sprovvisto di danza e melodia.
E’ stata una prima forma di regionalismo critico buonista, che però non mi ha negato gli strumenti critici per scartare il malamente. Una volta cresciuto, ho sempre avuto più difficoltà a scambiare con gli esegeti inconsapevoli di un’età aurea dell’ arte e della musica che il nostro territorio ha vissuto, forse troppo tempo fa. Il carattere individualista e scarsamente serio nel mestiere quotidiano, presente in molti musicisti napoletani, mi ha fatto affacciare ad altri territori a cui poi aggrapparmi ma anche ad altre discipline. Forse sono tra i pochi a pubblicare contemporaneamente su riviste d arte, musica e architettura, a partecipare a mostre come la Biennale di Venezia, la Quadriennale di Roma, e a fare dischi e concerti pochi e scelti – con il medesimo atteggiamento. I lavori che seguo, che propongo, hanno sempre il sapore del gruppo, del collettivo, della condivisione del lavoro, che ritengo fondamentale nell’arte e documentata dalla sua storia.
Dico ciò perché riconosco nella musica eseguita le vicende che legano Jarrett a Peacock e a De Johnette; le stesse energie presenti anche nei dischi dei Led Zeppelin, sciolti peraltro all’indomani della morte di Bonham. Non mi interessano mausolei e monumenti, sono spazi creati dalla storia, mi interessano gli individui, le storie, le pratiche, processi legati a luoghi da cui scaturiscono le vere espressioni dell’arte.
Tutto ciò per me è inscindibile.
Come architetto, amo il concetto di luogo, di ancoraggio.
Ma mi piace pensare che il radicamento sia più concettuale che fisico. Ci ha sempre divertito individuare nelle energie contenute nella caldera del Vesuvio un potenziale creativo, di cui il popolo pedevulcanico è dotato. Per me è impossibile che chi nasce sotto un vulcano, in un golfo mediterraneo, possa essere sprovvisto di danza e melodia.
E’ stata una prima forma di regionalismo critico buonista, che però non mi ha negato gli strumenti critici per scartare il malamente. Una volta cresciuto, ho sempre avuto più difficoltà a scambiare con gli esegeti inconsapevoli di un’età aurea dell’ arte e della musica che il nostro territorio ha vissuto, forse troppo tempo fa. Il carattere individualista e scarsamente serio nel mestiere quotidiano, presente in molti musicisti napoletani, mi ha fatto affacciare ad altri territori a cui poi aggrapparmi ma anche ad altre discipline. Forse sono tra i pochi a pubblicare contemporaneamente su riviste d arte, musica e architettura, a partecipare a mostre come la Biennale di Venezia, la Quadriennale di Roma, e a fare dischi e concerti pochi e scelti – con il medesimo atteggiamento. I lavori che seguo, che propongo, hanno sempre il sapore del gruppo, del collettivo, della condivisione del lavoro, che ritengo fondamentale nell’arte e documentata dalla sua storia.
Dico ciò perché riconosco nella musica eseguita le vicende che legano Jarrett a Peacock e a De Johnette; le stesse energie presenti anche nei dischi dei Led Zeppelin, sciolti peraltro all’indomani della morte di Bonham. Non mi interessano mausolei e monumenti, sono spazi creati dalla storia, mi interessano gli individui, le storie, le pratiche, processi legati a luoghi da cui scaturiscono le vere espressioni dell’arte.
Tutto ciò per me è inscindibile.
Una ritmica ostinata su temi dal sapore cameristico. Musica jazz e musica contemporanea. Dove finisce la prima e dove inizia la seconda?
Il jazz è considerabile un luogo di incontro che spesso accoglie chi vuole esprimersi attraverso il proprio strumento. Attraverso l’improvvisazione.
La musica che suoniamo in duo è vicina al jazz in questo, ci lascia liberi. Ma la libertà è solo apparente. Noi non abbandoniamo mai la struttura, che come prima dicevo dà la possibilità alla forma di materializzarsi, di rinnovarsi. Più che individuare un limite, un bordo, ancora una volta parlo di compresenza, di possibilità, in un unica lingua fatta da note, da intervalli, che racconta a tutti senza distinzioni, perché attenta a ciò che accade intorno. In questo essere legata al presente, la nostra musica è contemporanea.
Il jazz è considerabile un luogo di incontro che spesso accoglie chi vuole esprimersi attraverso il proprio strumento. Attraverso l’improvvisazione.
La musica che suoniamo in duo è vicina al jazz in questo, ci lascia liberi. Ma la libertà è solo apparente. Noi non abbandoniamo mai la struttura, che come prima dicevo dà la possibilità alla forma di materializzarsi, di rinnovarsi. Più che individuare un limite, un bordo, ancora una volta parlo di compresenza, di possibilità, in un unica lingua fatta da note, da intervalli, che racconta a tutti senza distinzioni, perché attenta a ciò che accade intorno. In questo essere legata al presente, la nostra musica è contemporanea.
Come sta il pesce Uaio?
La storia di Uaio raccontata nel disco è vera. Uaio vive in una boccia di vetro, ma non dismette l’udito, la speranza, l’attesa, anche nel pallore dell’ufficio in cui risiede; nel quale svolge una funzione meramente decorativa.
Dico questo perchè non appena parte la musica, lui danza, manifestando senza vergogna una necessità naturale, primordiale. Danza perché la prigione non è sufficiente a reprimere le forze che ci legano, in un dialogo che va oltre addirittura le specie.
Questo è Uaio.
La mia speranza è di non tradirlo mai!
La storia di Uaio raccontata nel disco è vera. Uaio vive in una boccia di vetro, ma non dismette l’udito, la speranza, l’attesa, anche nel pallore dell’ufficio in cui risiede; nel quale svolge una funzione meramente decorativa.
Dico questo perchè non appena parte la musica, lui danza, manifestando senza vergogna una necessità naturale, primordiale. Danza perché la prigione non è sufficiente a reprimere le forze che ci legano, in un dialogo che va oltre addirittura le specie.
Questo è Uaio.
La mia speranza è di non tradirlo mai!
Intervista a cura di Carlo Pecoraro.
Foto di Francesco Truono.
Foto di Francesco Truono.
riferimenti interni
La danza di Uaio il Pesce
Forma e Struttura